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Da "cringe" a "lockdown": le ultime tendenze della lingua italiana

Immaginate di tornare indietro a due, tre anni fa. Se qualcuno, allora, vi avesse parlato di tamponi, lockdown, quarantena” “congiunti o ancora di aperizoom o di “didattica a distanza e vi avesse detto che queste parole sarebbero presto diventate parte del vostro vocabolario quotidiano, quasi sicuramente non gli avreste creduto.

E invece adesso utilizziamo queste parole in modo normale, come fossero state con noi da sempre. Questo dimostra che gli eventi, i mezzi di comunicazione, i cambiamenti sociali plasmano moltissimo il nostro modo di comunicare, anche se spesso non ci facciamo caso. La lingua non è qualcosa di fisso, di statico: si muove insieme a noi, cambia insieme a noi, si comporta come uno “specchio” dell’epoca in cui essa viene usata. E lo fa in modo naturale, a tratti imprevedibile, grazie all’uso dei parlanti. I neologismi e i termini chiave di un certo periodo dicono moltissimo della società che li ha usati.


L’anno scorso, il 2020, è stato un anno che ha stravolto completamente la nostra vita: le abitudini che abbiamo sempre dato per scontate sono state spazzate via. Ci siamo dovuti adattare alla situazione di pandemia, creando nuove soluzioni per superare i problemi dovuti al distanziamento sociale e fisico. E, c’era da aspettarselo, anche la lingua italiana ne è uscita modificata, reagendo a questi cambiamenti.


Tra le parole che pronunciamo e di cui sentiamo parlare tutti i giorni ce ne sono molte, per ovvie ragioni, appartenenti al campo semantico della sanità: oltre a quelle citate all’inizio, troviamo, tra le tante, “droplet”, “mascherina”, “saturimetro”, “virologo”, “paziente zero”, “fame d’aria”, “focolaio”. In questo caso si tratta perlopiù di parole già esistenti, di tecnicismi che, prima della pandemia, erano “riservati” all’ambito medico e noti quasi esclusivamente agli “addetti ai lavori”. Adesso, invece, hanno raggiunto una tale popolarità da essere onnipresenti nella maggior parte delle nostre conversazioni. Tutto ciò è stato presto istituzionalizzato: lo scorso ottobre è stato reso noto che l’aggiornamento del 2021 dell’autorevole vocabolario Devoto-Oli sarà arricchito da molte di queste parole. Inoltre, secondo il Cambridge Dictionary, la parola dell’anno 2020 è stata “quarantena”.

Ci sono poi moltissime parole che si sono insidiate nelle nostre abitudini quotidiane a causa del COVID, ma solo indirettamente, in quanto non si riferiscono direttamente alla malattia. Ad esempio: DPCM”, “autocertificazione”, “autoisolamento”, “didattica a distanza”, “smart working”, “assembramento”, “coprifuoco”, “webinar”. Anche queste, tranne “didattica a distanza”, non sono per niente nuove.


Lo “smart working”, ad esempio, è una pratica usata da molte aziende già da molti anni, ma solo adesso si è affermata per necessità. Il primo “coprifuoco” è stato istituito in Italia già negli anni della Seconda guerra mondiale, nel 1943. I DPCM non sono una novità nel nostro ordinamento giuridico. La peculiarità è il fatto che ora molti di questi termini hanno assunto quasi un altro significato: quando le si sente le si collega immediatamente al nostro attuale contesto di pandemia, senza neanche bisogno di specificarlo.


A questo proposito, è curioso notare come siano nati alcuni verbi, spesso al limite della correttezza grammaticale, derivati da sostantivi: mutare per descrivere l’azione di “zittire” qualcuno su una piattaforma di video-conferenza e non come sinonimo di “cambiare” o tamponare col significato di “effettuare un tampone” e non di “collidere con un autoveicolo”. Per non parlare del caso dell’aggettivo positivo”, che da sinonimo di “buono”, “vantaggioso” ha acquisito un’accezione (scusando il gioco di parole) totalmente negativa, riferendosi a una persona affetta da COVID-19.

In questo periodo c’è stato anche un boom di parole sdoganate dal mondo dei social, in particolare TikTok e Instagram, piattaforme dove i giovanissimi sfogano la propria creatività soprattutto in periodi di quarantena. Alcune sono tentativi di “italianizzazione” di parole inglesi, come triggerare o floppare che nel gergo di TikTok significa “non avere successo” e non finire nei video in tendenza, cioè “#neiperte”, altra espressione ormai in voga. Altre sono parole inglesi come fire” “challenge”, “crush o cringe il cui significato, a causa di un uso massiccio, sta diventando chiaro a tutti, tanto da finire, come è successo recentemente a quest’ultima, nell’elenco delle parole nuove captate dall’Accademia della Crusca.


Laura dalla redazione di t3ADrIs



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